Aveva fatto di tutto per ‘salvare’ l’azienda di famiglia, un tempo nota per la produzione di scarpe per bambini e adolescenti di marchi prestigiosi. Per far fronte alla mancanza di liquidità aveva pure messo mano al patrimonio personale versando 9 milioni di euro.
Una cifra notevole che aveva scelto, però, di usare non per saldare i debiti con il fisco, ma per un piano di rilancio imprenditoriale nella speranza di non chiudere i battenti, di preservare un centinaio di posti di lavoro e in un secondo momento regolare i conti con l’erario.
E proprio perché aveva messo in atto “una serie di iniziative concrete (…) dirette a consentirgli di recuperare quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale”, un ex docente universitario, dopo essere finito imputato per omesso versamento dell’Iva per cinque annualità, è stato assolto con formula piena dal Tribunale di Milano.
Assoluzione, ora diventata definitiva, con la quale è stata applicata in modo estensivo l’orientamento giurisprudenziale in base al quale si esclude la responsabilità penale del mancato versamento delle imposte qualora si dimostri, a causa della crisi economica, l’impossibilità di fronte alla mancanza di liquidità. Nel caso del professore, accusato di non aver pagato l’imposta tra il 2011 e il 2017, in totale circa 1,7 milioni, il giudice Flaviana Balloi, ha accolto la tesi dei difensori, gli avvocati Francesco Arata (nella foto), Claudio Schiaffino e Francesca Nobili: è stato riconosciuto, non tanto che non ci fosse capitale, ma la scelta e lo sforzo di usarlo per garantire una continuità di impresa ed evitare il crac, purtroppo “senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà”