Diritto al silenzio nei procedimenti Consob: un equilibrio ancora precario dopo l’intervento della CGUE
Come sanno i lettori di questa Rivista, con sentenza dello scorso 2 febbraio, la Grande Sezione della Corte di Giustizia Europea si è espressa sulla questione sollecitata dalla Corte Costituzionale italiana con l’ordinanza n. 117/2019 [1]. La Consulta aveva infatti richiesto l’intervento del Giudice Europeo dopo essere stata adita a sua volta dalla Corte di Cassazione[2].
Il caso si era posto in seguito a un procedimento CONSOB per insider trading (187 bis D.Lgs. 8/1998, t.u.f.) a conclusione del quale erano state irrogate sanzioni pecuniarie e interdittive per le operazioni svolte con abuso di informazioni privilegiate, in aggiunta alle quali erano state inflitte gravose sanzioni pecuniarie ai sensi dell’art. 187 quinquiesdecies per essersi il soggetto sottoposto a procedimento ispettivo rifiutato di rispondere alle domande poste dall’Autorità di Vigilanza. Si interrogavano le Corti circa la legittimità costituzionale della norma del t.u.f., laddove sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l’esercizio delle sue funzioni di vigilanza nei confronti di colui al quale la stessa CONSOB contesti l’insider trading, in relazione agli articoli 24, 111 e 117 Cost. e 6 CEDU.
La CGUE si è espressa riconoscendo da un lato il diritto al silenzio da parte della persona nei cui confronti si sta svolgendo un procedimento sanzionatorio di natura penale o parapenale, dall’altro confermando comunque la possibilità degli ordinamenti nazionali di prevedere sanzioni per la mancata collaborazione con l’Autorità procedente[3].
Così si è pronunciata la CGUE: ‘L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE […] relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 […], relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) […], letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale’.